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Nomination all'Oscar: ecco i magnifici 8

January 22, 2019 by Filiberto Molossi in 2019, Classifiche

Rivelate le nomination all’Oscar: sono 8 le pellicole in lizza per il migior film. In un anno nel segno della musica e del black power, a guidare la fila sono però due film d’autore, uno di un regista messicano e l’altro di un greco, che hanno trionfato alla Mostra di Venezia. Ma scopriamo chi gioca per vincere l’Oscar più importante e quante nomination hanno portato a casa.

10 NOMINATION

LA FAVORITA

Non è un gioco di parole: “La favorita” rischia davvero di recitare la parte del grande favorito. Gran premio della giuria a Venezia, è una sarcastica e feroce riflessione sul potere, ambientata nel ‘700 ma ancora attualissima. Attrici da urlo e dietro la macchina da presa il regista più originale degli ultimi dieci anni.

ROMA

Roba da non crederci: si ripete la sfida di Venezia, dove Cuaron vinse il Leone d’oro proprio davanti a “La favorita”. Toccante ritratto familiare, girato in un bianco e nero intimista, è candidato anche come miglior film straniero. Il regista affida i suoi ricordi bambini alla tata: un amarcord affettuoso e riconoscente.

8 NOMINATION

BLACK PANTHER

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Un kolossal Marvel in corsa per il miglior film? Si può fare. Forte di un enorme successo, ma pure di recensioni sperticate (soprattutto negli Usa), i supereroi in quota black power portano l’intrettenimento più spettacolare al tavolo dell’alta società. Può essere già contento così, ma non si escludono colpi di scena.

A STAR IS BORN

A mio parere un poco sopravvalutato, ma è piaciuto tanto tanto: i romantici di tutto il mondo fanno il tifo per lui, anche se le sue quotazioni (è uscito ridimensionato dai Golden Globes) sono leggermente in discesa. Appare scontata la vittoria di Lady Gaga per la miglior canzone, più dura il premio come migliore attrice.

VICE

Per capire gli ultimi 20 anni (e più) di storia americana basta guardare Christian Bale che si sciaqua la bocca col colluttorio: è già tutto lì. Bel taglio moderno e ironico per uno dei film più intelligenti e rivelatori del lotto dei papabili. Cinema politico e iconoclasta, che si toglie la polvere di dosso e i sassolini dalle scarpe.

6 NOMINATION

BLACKKKLANSMAN

Un grande ritorno: Spike Lee ritrova la vena giusta e gira una storia incredibilmente vera dove farsi gioco dei razzisti per poi però, amaramente, constatare che in America passano gli anni ma non cambia mai niente. Una commedia politica molto ben scritta con un forte sottofondo di rabbia e di denuncia.

5 NOMINATION

BOHEMIAN RHAPSODY

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Arriva tra i film dell’anno sull’onda di un successo mondiale: il film più visto del 2018 in Italia va oltre l’omaggio ai Queen e celebra la parabola umana del divo Freddie. Ha molto per piacere anche se non tutto (specie in fase di scrittura) è da Oscar. Parte di rincorsa e si acconterebbe forse del premio al miglior attore. Who wants to live forever?

GREEN BOOK

Il vincitore dei Golden Globes forse si aspettava qualche candidatura in più: amato più dal pubblico che dai critici, è una sorta di A spasso con Daisy rovesciato, molto classico ma con la punteggiatura nei posti giusti. E E due grandi interpreti. Tra i molti litiganti, proverà ad essere quello che si imbuca al fotofinish.

January 22, 2019 /Filiberto Molossi
Queen, Bohemian Rhapsody, Green book, Blackkklansman, Vice, A star is born, Black panther, Oscar, Nomination, Roma, La favorita
2019, Classifiche
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Maria, regina di Scozia: un trono per due

January 21, 2019 by Filiberto Molossi in Recensione, 2019

Due donne: abbandonate al proprio destino, usurpate dei loro sentimenti, ribelli al cielo nella terra degli uomini. Eppure forti, fiere, orgogliose. Eterne. Come solo le regine sanno essere. Una sola protagonista – così come suggerisce il titolo – ma pur sempre due, due donne. Vicine eppure distanti, indissolubilmente legate ma estranee: e proprio lì, nel confronto a distanza tra Maria Stuarda ed Elisabetta I (con Saoirse Ronan che per intensità supera la quasi irriconoscibile Margot Robbie, che sarà Sharon Tate nel prossimo Tarantino), nel seguire alternativamente la furia e i tormenti dell'una e dell'altra, c'è la ragione d'essere di questo melodramma storico (e protofemminista) con toni da tragedia shakespeariana, in quella sorellanza mancata, in quel cercarsi invano, in quel caricare di attesa un incontro che avviene solo nel sottofinale, dove tra veli in cui smarrirsi insieme alle proprie speranze le persone diventano ombre e le parole sussurri. Molto classico, magari anche prevedibile nei suoi grandi totali maestosi, ma ricco nell'ambientazione, nella potenza dei gesti, nel protocollo degli sguardi di chi ordina e di chi serve, l'opera prima della regista teatrale Josie Rourke rilegge la (anche cinematograficamente) famosa rivalità tra la regina di Scozia e quella d'Inghilterra (di cui la prima, nel sedicesimo secolo, reclamò il trono) non tanto come un'<Eva contro Eva> ante litteram, ma anzi accentuando le assonanze piuttosto che evidenziando le differenze: donne che si specchiano l'una nell'altra, investite dal peso insopportabile di un potere che sono costrette a difendere dai complotti, dalle manipolazioni e dagli intrighi di una società esclusivamente maschilista. Perché da qualunque orizzonte la si guardi, su Londra e su Edimburgo regna solo una sovrana: la solitudine.

January 21, 2019 /Filiberto Molossi
Saoirse Ronan, Margot Robbie, Sharon Tate, Tarantino, Josie Rourke, Eva contro Eva
Recensione, 2019
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Il gioco delle coppie: l'amore al tempo degli e-book

January 17, 2019 by Filiberto Molossi in Recensione, Festival, 2018

<E' un po' come in "Luci d'inverno" di Bergman: il prete continua a dire messa anche se la chiesa è vuota>. Leggere? Forse è ormai è solo una questione di fede... Ma mai come questa volta, perlomeno, il dibattito è aperto: merito dell'attualissimo film-saggio di Olivier Assayas che ne <Il gioco delle coppie> (brutto titolo che restituisce poco dell'originale <Doubles vies>) riflette a voce alta sulla rivoluzione digitale: la vita al tempo degli e-book, tra vita reale o solo percepita, scontri generazionali, il ruolo dei critici e quello degli algoritmi. Un film denso e scritto benissimo, costruito su una fitta serie di dialoghi e incontri, dove il regista di <Sils Maria> incrocia abilmente l'analisi (preoccupata e preoccupante) di un cambiamento epocale con un girotondo sentimentale che si rivela spesso anche molto divertente. I limiti della scrittura, che il cuore forse non conosce: chi vuole l'arte gratis, chi solo un'altra donna.

Nella storia del responsabile di una casa editrice alle prese con le difficoltà sempre più crescenti del mercato dei libri, Assayas, con la corale complicità di un gruppo di interpreti affiatati (tra Canet e la Binoche, è il buffo Macaigne quello che ne esce meglio), guarda alle conseguenze che le nuove tecnologie hanno avuto sulle nostre vite, prima che tutto cambi affinché ogni cosa rimanga uguale. Cinema intellettuale, radical chic, colto, borghese: ma felicemente immerso nella contemporaneità. E capace di (auto?) ironia.

January 17, 2019 /Filiberto Molossi
Il gioco delle coppie, Olivier Assayas, Juliette Binoche, Mostra di Venezia
Recensione, Festival, 2018
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Una notte di 12 anni: dalla parte di chi non si arrende

January 14, 2019 by Filiberto Molossi in 2019, Festival, Recensione

 <Gli unici sconfitti sono quelli che si arrendono>.

Un gol segnato senza pallone, una partita a scacchi senza scacchiera, una vita senza vivere: e l'anelito, ansimante e improvviso, della libertà che soffia sulle note di una versione da brividi di <Sound of silence>. E' un film ribelle e triste, logoro e intero, lungo 4mila giorni, bello come quando esci dalla galleria e ci trovi il sole, <Una notte di 12 anni>: che è la storia vera e sofferta, ma mai priva di ostinata e orgogliosa speranza, di José Alberto Mujica, il combattente rivoluzionario che divenne presidente (a 800 euro al mese...) del suo Uruguay, il Paese che, divorato dalla dittatura, dal '73 all'85 imprigionò lui e i suoi compagni di lotta, cercando inutilmente di piegarli attraverso una detenzione disumana.

Un film – diventato in fretta un piccolo caso alla Mostra di Venezia dove venne presentato, con grande successo, nella sezione <Orizzonti> - che va ben oltre il filone carcerario (dalle cui regole canoniche si distanzia sia per la sensibilità che per il tono), non solo per la forte dimensione politica, ma soprattutto per gli inaspettati sprazzi di poesia (il detenuto che scrive lettere d'amore per i suoi aguzzini incapaci di trovare le parole giuste per le loro belle, i due prigionieri che comunicano nonostante il muro che li separa...), per gli squarci di umorismo  che aprono varchi nella costruzione inevitabilmente claustrofobica di una pellicola resistente e civile che non ha paura di mostrare il volto grottesco dell'autoritarismo, trovando nel paradosso una nuova forma di indignazione, di sdegno.

L'annullamento della personalità, gli spazi che si riducono fino a implodere, l'isolamento che conduce alla follia: elevate immaginazione e memoria a uniche vie di fuga possibili, <Una notte di 12 anni>, diretto dal 43enne Álvaro Brechner, esalta dignità e forza morale di personaggi che sanno quale croce portano. Resta solo da capire se noi conosciamo il peso della nostra.

January 14, 2019 /Filiberto Molossi
Una notte di 12 anni, Mujica, Uruguay
2019, Festival, Recensione
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Van Gogh, l'uomo che diceva "io sono i miei dipinti"

January 09, 2019 by Filiberto Molossi in 2018, Recensione, Festival

Aveva le scarpe rotte e le calze bucate e si lavava raramente: ma davanti a un paesaggio piatto sapeva riconoscere l'eternità. Il cinema mette nuovamente in cornice (nei quattro angoli di una tela-schermo) Vincent Van Gogh, l'uomo che diceva <io sono i miei dipinti>. E nel cercare di vedere quello che gli altri non vedono (non è forse anche la missione del regista?) rivive ancora in un film, inseguendo un'idea che duri per sempre. A costo di pagare il talento con l'emarginazione, di scontare la <maledizione> del suo genio con l'incomprensione. Rassegnato ma consapevole che - come un Cristo in croce - solo più avanti sarebbe stato davvero capito.

Al riparo dalle pozzanghere scivolose del biopic più tradizionale, <Van Gogh-sulla soglia dell’eternità> cerca, con macchina a mano, primissimi piani e un montaggio a tratti febbrile, l'uomo prima del mito: non sfugge il mood un po' modaiolo dell'operazione, ma il film del regista pittore Julian Schnabel - sulla carta rischioso -, non esce comunque sconfitto dal pregiudizio.

Puntuale in alcuni dettagli, il film si prende per altri versi delle libertà dalla storia ufficiale: negando ad esempio che il grande pittore (l’arma, in effetti, non fu mai ritrovata) si sia suicidato. Ma più che attenersi con precisione alla vita documentata di Van Gogh, a Schnabel (che aveva già cantato le gesta di Basquiat) interessa riflettere sul significato dell’essere artista, sul tormento che scava in una dimensione interiore difficile, praticamente impossibile - se non attraverso le proprie opere - da comunicare all’esterno: sulla sofferenza (e sulla solitudine) insita nel genio, ma anche sulla sua capacità di avvicinarsi alla luce. Una tensione emotiva, un approccio ideale, a cui dà corpo, con un’interpretazione dolorosa, uno scavato Willem Dafoe, che dopo la Coppa Volpi vinta a Venezia e la candidatura al Golden Globe sta rincorrendo (32 anni dopo <Platoon>) la quarta nomination all’Oscar.

January 09, 2019 /Filiberto Molossi
Willem Dafoe, Vincent Van Gogh, Van Gogh, Julian Schnabel, Basquiat, Golden Globes, Platoon, Oscar
2018, Recensione, Festival
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