Ombre Mosse

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Cinema, moda e cattivi pensieri. Che sono sempre i migliori

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Il corriere: sulla strada di Clint, l’uomo che sfidò il tempo

February 15, 2019 by Filiberto Molossi in 2019, Recensione

C'è un senso profondo, qualcosa di epico, come un passo di addio, l'etica di chi accetta il suo destino a costo di dichiararsi colpevole (sì, di tutto) quando sa di esserlo, nel cinema fondo e crepuscolare di Clint Eastwood, 88 anni che grondano leggenda in un'America dilaniata da una crisi che costringe anche la terza età a fare il lavoro sporco: autore senza filtri (<mai pensato di averne  uno>), arrivato a un punto (per coraggio e anagrafe) da potere dire ciò che vuole (magari anche a due afroamericani che <no, non siamo tutti uguali>), politicamente (e pesantemente) scorretto eppure felicemente inattuale, lui, reduce di mille battaglie, che si porta dietro la saggezza di una vita vissuta. Uno che si incazza se lo scambiano per James Stewart - l'eroe positivo dei film di Frank Capra -, e si scaglia contro una modernità che ha perso il <fare> (<è il problema della vostra generazione: guardate Internet anche per aprire una scatoletta>) oltre che il <sapere>, schiava del cellulare (<non ce l'avete una vita al di là di quel telefonino?>) e di un Web <che rovina tutto>. Ci fa la morale Clint e mica gli puoi dare torto: macina chilometri sulle strade assolate della colpa e dell'espiazione, giganteggiando in un altro film-testamento in cui racconta di traffici turpi con una gentilezza fuori moda, fuori tempo, con la stessa delicatezza di una rosa che sfiorisce senza fretta. Per modellare, complice un'incredibile storia vera, l'ennesimo personaggio indimenticabile della sua galleria senza tempo, <eroe> senza ambiguità di un'epoca ambigua: Earl Stone, veterano della guerra di Corea, galante coltivatore di fiori, padre (la figlia, non a caso interpretata dalla primogentita di Eastwood, Alison, non gli parla da anni) e marito assente. Uno <sbocciato tardi>, per così dire: mai una multa in tutta la sua vita e pochissima dimistichezza con gli smartphone. Rimasto al verde, con l'ex moglie che non lo vuole nemmeno vedere all'uscio, decide allora di intraprendere una nuova <carriera>: il corriere della droga per i cartelli messicani... La prima volta è per dare una mano alla nipote che si deve sposare, un'altra per mettere a posto la sede dei reduci: insospettabile e imprevedibile, svia la polizia e arriva sempre a destinazione. Ma un giorno il gioco si fa duro.

In qualche modo autobiografico, umanista, pervaso del buon senso di chi fa la cosa sbagliata per farne – finalmente – una giusta, l'ultimo film di Eastwood mette al primo posto la famiglia, i suoi valori, e quelli di un cinema antico, schietto e onesto; a qualcuno non piacerà il sentimentalismo finale, la consumata lentezza di un viaggio verso la redenzione, ma Clint, mai come questa volta, è il padre di tutti i nostri successi e di tutti i nostri sbagli. L'ultimo pistolero che ha perso il duello con il tempo (come i suoi emerocallidi, i fiori che durano un solo giorno) e affronta disarmato tutti i suoi rimpianti: la vita che resta è un fiore reciso, ma nessuno gli potrà mai impedire di sorridere a un'altra giornata di sole. 

February 15, 2019 /Filiberto Molossi
James Stewart, Il corriere, Bradley Cooper, Frank Capra, Clint Eastwood
2019, Recensione
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I 7 film da non perdere a febbraio

February 13, 2019 by Filiberto Molossi in Classifiche, 2019

E’ il mese degli Oscar, del freddo che smorza ma dei cinema ancora pieni: ma quali sono i 7 film da non perdere a febbraio?

1. IL CORRIERE

Che ve lo dico a fare? 88 anni che grondano leggenda, Clint si rimette in viaggio con un carico enorme sulle spalle: senza filtri, demolisce l’epoca del Web e sulla strada dell’espiazione mette al primo posto la famiglia. Veterano di mille battaglie che sa di non potere vincere il duello col tempo. Non si può fare a meno di Eastwood.

Esce: è già in sala

2. LA PARANZA DEI BAMBINI

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Applauditissimo al Festival di Berlino , sembrava già potente e suggestivo dalle primissime immagini rubate alle giornate del cinema di Riccione: testo di saviano, rabbia - da fottuti e fottitori - attuale, nell’epica dei baby face dal grilletto facile che nemmeno l’amore può più salvare.

Esce il: 13

3. TRAMONTO

Film difficile, anzi di più ostico, ambiguo, complesso. Una ragazza che è un simbolo, in un film potentissimo e sonnambulo, mentre l’Europa, ferita e ingannata, cammina (ieri come oggi?) verso il precipizio. Una pellicola con cui il virtuosistico Nemes gratta con le unghie la vernice della Storia.

Esce: è già in sala

4. LA CASA DI JACK

Non per tutti, nemmeno questo: fastidioso e violentissimo, il nuovo film di Von Trier si interroga sul dovere dell’artista di essere cinico. Un efferrato dialogo-confessione tra un assassino e il suo Virgilio. Psicanalisi con delitto: ma è più sadico il serial killer o il regista?

Esce il: 28

5. COPIA ORIGINALE

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La storia vera di una scrittrice amante della bottiglia che - per guadagnare i soldi necessari per curare il gatto (e mantenersi) - falsificò decine di lettere di autori celebri scomparsi da tempo. Gli americani ci sono andati pazzi: sceneggiatura ben oliata, interpreti da urlo.

Esce il: 28

6. LE NOSTRE BATTAGLIE

Madre di famiglia scompare da un giorno all’altro, volontariamente: lasciando il marito, operaio e sindacalista di una fabbrica di imballaggi, da solo, con due bambini piccoli…In un’epoca incerta, un bel film sull’assenza, sincero nella descrizione di fragilità complesse, di esistenze precarie, mentre il lavoro logora anche chi ce l’ha.

Esce: è già in sala

7. UN VALZER TRA GLI SCAFFALI

Un 27enne timido e riservato viene assunto in un supermercato: qui si innamora di una donna solare, purtroppo già sposata… La routine trasformata in valzer in un film, accompagnato da ottime recensioni, che cerca in un non luogo la poesia (necessaria) del quotidiano.

Esce: il 14

February 13, 2019 /Filiberto Molossi
Il corriere, febbraio, Un valzer tra gli scaffali, Le nostre battaglie, La paranza dei bambini, Tramonto, Copia originale, Oscar, La casa di Jack
Classifiche, 2019
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La douleur: Duras, Penelope divorata dall’attesa

February 11, 2019 by Filiberto Molossi in Recensione, 2019

Come una Penelope divorata dall'attesa, nel piano sfocato di un'epoca dove i contorni hanno smesso di essere nitidi: laggiù, nel chiaroscuro sordo e claustrofobico della propria angoscia, là dove esiste solo lei. E il suo dolore. Ha un rigore implacabile, una verità, una sua <violenza> nel rileggere (a voce alta) le parole della Duras, dense di pena e di colpa, di inquietudine e di oppressione, <La douleur>, il dramma, sofferto, di Emmanuel Finkiel che guarda da vicino la smarrimento straziante della scrittrice nella Francia occupata, priva di notizie (è vivo? E' morto?) del marito deportato in un campo di concentramento.

Costruito bene, tra mille ambiguità, il rapporto tra la protagonista e l'ispettore collaborazionista, in un gioco sottile e pericoloso dove i ruoli sono destinati a confondersi quando non a ribaltarsi, <La douleur>, candidato a 8 César (gli Oscar francesi), è il racconto autobiografico di interiorizzata profondità di chi si sente priva di un posto nel mondo, morta dentro in un Paese che cerca di tornare a vivere. Un film intellettuale e viscerale allo stesso tempo, in cui si staglia l'interpretazione dolente di Mélanie Thierry.

February 11, 2019 /Filiberto Molossi
Melanie Thierry, Duras, Finkiel, La douleur
Recensione, 2019
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Green book, due uomini in viaggio sulla strada dell’amicizia

February 06, 2019 by Filiberto Molossi in 2019, Recensione, Festival

Due uomini in macchina: tasti neri e tasti bianchi, un mucchio di chilometri, pollo fritto a volontà e qualche cazzotto, mai dato invano. Sulla strada – lunga ed impervia - della diversità e dell'intolleranza,  la storia di un'imprevedibile amicizia capace di andare oltre le differenze sociali, la razza, i pregiudizi. Perché nella scoperta dell'altro, sta anche quella dei propri limiti, delle proprie debolezze. E' un film umanista, divertente, sentimentale, <Green book>: e più di tutto, una lezione di dignità nell'America che i Kennedy cercarono di cambiare ma che poi – si sa - non è  cambiata così tanto.

Film super classico, ultra tadizionale, di quelli che gli americani ci vanno a nozze (dopo il Golden Globe per la migliore commedia dell'anno, prova a essere il terzo incomodo tra i due litiganti <Roma> e <La favorita> nella corsa all'Oscar), <Green book> è road movie di caratteri, tutto giocato sul dualismo un po' scontato ma efficace tra i due, antitetici, protagonisti: il bianco grezzo, razzista, proletario e pratico e il nero colto, raffinato, elitario e solo. Al secolo, il fenomenale pianista afroamericano Don Shirley e il suo autista italoamericano dalla fame inestinguibile Tony Vallelunga. Che ha il compito di portare – e scortare – il primo nel profondo Sud del '62, dove i ricchi bianchi applaudono al talento del geniale musicista di colore ma non gli permettono di usare il loro stesso bagno...

Ispirato a una storia vera (quella del padre di uno degli sceneggiatori), ritmato nei dialoghi e nei sapori, nell'evoluzione di un confronto e di una (reciproca) consapevolezza, il film di Peter Farrelly (sì, è quello di <Tutti pazzi per Mary>) stenta a sposare  una visione realmente originale (il riferimento principale è ovviamente <A spasso con Daisy>) ritagliandosi una prevedibile comfort zone che però trova il suo perché grazie alle prove di Mahershala Ali (ora in tv in <True detective>) e, soprattutto, di un formidabile Viggo Mortensen che, ingrassato oltre 20 chili per il ruolo, firma un'interpretazione di fisica e vorace intensità.

February 06, 2019 /Filiberto Molossi
Viggo Mortensen, Kennedy, Green book, Mahershala Ali, Peter Farrelly
2019, Recensione, Festival
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La favorita: la grande recita dell’ambizione nel film delle 10 nomination

January 31, 2019 by Filiberto Molossi

Dio salvi la regina. Nella grande recita dell'ambizione, dove gli artisti della manipolazione si divertono a rimescolare le carte servite loro dal destino,  una riflessione di feroce cattiveria su un potere sempre uguale (nei secoli dei secoli) a se stesso, vittima dell'adulazione e dei suoi stessi capricci. Perché in fondo ha ragione lui, Yorgos Lanthimos, il geniale regista di <The lobster>: <A parte i vestiti, l'elettricità e Internet negli ultimi 300 anni non è cambiato molto. Anzi, i comportamenti umani sono molto simili>.

Lo dimostra con un bellissimo film, dove porta il cinismo caustico che gli è proprio a confrontarsi con gli intrighi al femminile della corte della regina Anna (Olivia Colman), nei primi anni del '700, dove una influentissima lady (Rachel Weisz) e sua cugina (Emma Stone) caduta in disgrazia si contendono, senza esclusione di colpi, le simpatie della sovrana: a cui piace averle vicino nella stanza del trono ma anche in quella da letto...

Originale nella sua forza stilistica, con quell'uso inaspettato e fuori dal comune del grandangolo che deforma in modo ancora più grottesco un'epoca già di per sè distorta dall'ipocrisia e dalla sete di potere, <La favorita> - candidato a 10 Oscar (una pioggia di nomination che ne fa di diritto – insieme a <Roma> - il primo della classe) - è un'analisi molto divertente e spesso spietata dei sotterranei meccanismi relazionali, una sorta di <Eva contro Eva> in parrucca incipriata e trucco vistoso dove la magniloquenza della scenografia e l'uso espressivo della luce naturale sono tecniche di seduzione  capaci di rendere ancora più esplosivi dialoghi in cui Lanthimos (che stavolta non firma la sceneggiatura) ritrova sarcasmo, paradosso e gusto della sopraffazione che gli sono cari. Facendo di una donna sola, afflitta, sgraziata e insicura - la sua regina (curiosità: la Colman è la sovrana d'Inghilterra anche nella serie <The crown>) - un personaggio semplicemente meraviglioso nella sua bulimica fragilità.

Politica, sesso, potere: primo film in costume dell'autore greco, coraggioso e imprevedibile già dalla concenzione, audace e <perverso> nella rivisitazione (di perfida intraprendenza) del genere storico, <La favorita> (Gran premio della giuria a Venezia, dove venne battuto proprio da <Roma>), costellato di sequenze cult (la corsa delle oche, il lancio delle arance, l'inseguimento tra la Stone e il suo amato...), è, infine, una spettacolare gara di bravura tra tre grandi attrici, tutte bravissime: ma per quanto la Stone e la Weisz duellino senza esclusione di colpi,  nessuan di loro è all'altezza di <sua altezza> Olivia Colman, da Oscar immediato senza nenache passare dal via.

January 31, 2019 /Filiberto Molossi
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